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Visualizzazione dei post da ottobre, 2010

The wrestler

I loro volti tumefatti e sconfitti si sovrappongono fra la vita e il cinema. Film epico come pochi talmente convincente da sfiorare un neorealismo post moderno. A metà strada fra la parabola del combattente sconfitto alla "Rocky" e una delicata descrizione della vita di un uomo in difficoltà che lotta per non perdere la sua dignità. La caduta del wrestler Randy "The Ram" Robinson interpretato da Mickey Rourke entra nella storia della recitazione, sovrappone la sua stessa vita a quella del personaggio. La storia di uno sconfitto che vive fra il suo passato di vincente e il presente con tutto il suo banale e insostenibile peso. E’ solo e non ha posto in questa società, l’unica cosa che sa fare è combattere, a costo di tutto e a spese di tutto. The Ram (in inglese Ariete) è un cristo moderno, un agnello sacrificale che vive la sua "passione" ogni incontro sul ring. Tenta di recuperare sua figlia ed una compagna dopo un infarto per tornare a vivere insieme agl

La donna del ritratto di Fritz Lang

Come sempre quello che interessa investigare a Fritz Lang è la natura nascosta dell’uomo. Il duplice volto di ciascuno. Diceva sempre che ognuno di noi è un potenziale assassino. A differenza di altri lavori, tuttavia, in questa pellicola porta si la situazione alle conseguenze più estreme, ma solo per gioco. La tragedia non è assoluta, come nella “Strada scarlatta” per esempio. Non pare un caso che in entrambi ci sia lo stesso attore dal volto un poco bigotto e un poco perverso. Per di più ci si troverà davanti ad un comicissimo nel finale. La tematica è quella cara ad Hitchcock. Un uomo qualsiasi, abitudinario e monotono viene calato improvvisamente in una realtà eccezzionale, in eventi straordinari, spesso o quasi sempre delittuosi e morbosi. In “La donna del ritratto”, questa situazione diventa il viaggio di iniziazione per un uomo mai veramente maturato, con moglie materna ed uno stile di vita che lo protegge come le pareti di un utero. La psicanalisi è messa alla prova, calata ne

Patt Garret e Billy Kid di Sam Peckinpah

Erano amici e hanno condiviso molte avventure nei panni di fuorilegge romantici. Ma ora i loro destini si separano. Pat Garret passa dalla parte della legge e svolge i suoi compiti con la stessa determinazione e la stessa bravura che lo contraddistinguevano da bandito. Billy Kid invece rimane dalla parte opposta. Lo scontro fra i due è inevitabile. A nulla serve il tentativo di Garret di allontanare l’ amico perchè non lo costringa a dargli la caccia. Comincia una caccia che si concluderà tragicamente. Quando gli ex amici si incontrano emerge subito la loro visione contrapposta del mondo. “Questo paese invecchia e io voglio invecchiare con lui” dice Garret. “Il mondo sarà cambiato ma non io” . Ribatte Billy. Il raffronto fra due antieroi epici e l’ analisi di un’ amicizia virile sono temi tipici nel cinema di Peckinpah e ritornano ciclicamente nei suoi lavori. La contrapposizione di due destini e il declino romantico di codici d’ onore e di uomini veri che si trovano davanti ad un mo

A prova d'errore di Sidney Lumet

In piena guerra fredda un tragico errore meccanico-elettronico porta i bombardieri statunitensi verso Mosca per spazzarla via con l’esplosione nucleare. Invano tutti i poteri degli Stati Uniti si mobilitano per impedire che i bombardieri facciano quello per cui sono stati creati e perfezionati fino alla nausea. Un serrato scambio di comunicazioni e ragionamenti ci spinge con la tensione dei migliori film di azione fino al tragico epilogo. Un equilibrio malvagio che suda morte verrà ristabilito al prezzo di milioni di vittime, sacrificate sull’altare della folle ragione umana che non sa vivere senza il dominio sull’altro e senza la paura paranoica del nemico. New York verrà distrutta per bilanciare la scomparsa di Mosca ed evitare che tutta l’umanità nel suo complesso venga eliminata. Assomiglia al "Dottor Stranamore" di Kubrick questo lavoro del grande Lumet. L’unica differenza è che ha un taglio più serioso e pedagogico. Laddove in Kubrick è critica e messaggio dietro una co

L'enigma di Kaspar Hauser

Un trovatello che non ha mai avuto rapporti con il mondo esterno viene abbandonato in mezzo alla piazza di Norimberga con una lettera in mano nella quale chiede di diventare un cavaliere. La gente del posto è prima incuriosita dallo strano personaggio ma poi lo richiude in una cella non sapendo che farsene. L’unica notizia che si ha è quella del nome che il selvaggio scarabocchia su un foglio:Kaspar Hauser. Viene impiegato come fenomeno da baraccone ed educato da alcuni abitanti del luogo nelle elementari norme di convivenza quali: stare seduto a tavola, mangiare con le posate, leggere e scrivere, esercitare la memoria e conversare. Infine un ricco possidente della zona lo prende sotto le sue cure e lo farà diventare lentamente un essere sociale. Ma qualcuno, forse il “padre” che lo aveva abbandonato all’inizio del film, prima lo aggredisce e poi lo uccide. Bellissimo, teso, trattenuto e commosso con una riproduzione storica dettagliata e pignola. Molte scene sono il limite che si poss

Il processo di Orson Welles

Il Processo regia Orson George Welles 1962 – b/n con: Anthony Perkins, Romy Schneider,Orson Welles, Akim Tamiroff, Jeanne Moreau, Elsa Martinelli, Arnoldo Foà. Che portare Kafka sullo schermo sia impresa ardua lo si sa fin troppo bene. Anche Polanski ci rimase scottato quando non gli riuscì di andare oltre la sceneggiatura de “Le metamorfosi”. Perciò uno che ci poteva tentare era sicuramente Welles. Nonostante tutto il suo è il miglior adattamento che abbiamo delle opere dello scrittore praghese. Dico nonostante tutto perchè Welles stravolge non poco la storia e le intenzioni del romanzo. Primo fra tutti il personaggio di Joseph K.(qui interpretato da un Perkins un pò monotono) è ben diverso da quello delineato nell’opera di Kafka. Il K. di Welles si batte troppo, si fa troppe domande reali, si contorce troppo della propria situazione per assomigliare a quello originale. Anche se alla fine accetterà il suo ruolo di vittima non risulta convincente come il personaggio del libro. E che di

Queen Kelly di Erich von Stroheim

QUEEN KELLY regia: Erich von Stroheim 1928 b/n 96 min. con: Gloria Swanson, Walter Byron, Seena Owen, Sidney Bracey Mutilato, massacrato, umiliato, censurato, tagliato, megalomane e trasbordante. Tutto questo è “Queen Kelly”. O almeno quello che ne resta. Il principe Wolfram è promesso sposo della Regina V. Nonostante questo non si nega alcun eccesso, nè avventura galante. Si invaghisce della trovatella Patricia Kelly. La notte stessa organizza un finto incendio nel convento dove lei vive e la rapisce. La porta a palazzo e i due si dichiarano amore eterno. Ma la regina li scopre, scaccia Patricia a frustate dal palazzo e imprigiona il principe. Patricia va a vivere dalla zia, che gestisce un bordello in Africa, la quale la fa sposare forzatamente con un bieco e viscido individuo. Dopo di che possiamo fare solo ipotesi perchè il film venne bloccato. Nelle intenzioni di Stroheim Kelly doveva dirigere il bordello dopo il matrimonio, il principe uscito di galera si mette a cercarla, Regina

L'argent di Robert Bresson

Bresson gira un film chiaro come una favola. Essenziale, secco e disperato. Il montaggio, l’ inquadratura, la recitazione e la colonna sonora svolgono il loro compito ai minimi termini. Si limitano e supportare la trama. Le persone non si parlano, non si guardano, si muovono come robots. Sono fredde e impassibili. L’unico motore dell’ azione è una banconota falsa, che manda in rovina un povero operaio e sprigiona male da ogni filigrana. Emblematiche le continue inquadrature sulle mani e sugli oggetti e sugli spazi vuoti che spesso non vengono riempiti. Il mondo è “avere” ed è fatto di cose inutili e false. Le mani toccano le cose non le persone e scambiano denaro. Lo sguardo di Bresson è pessimista fino all’ angoscia. Non si scorge speranza in questo film e alla fine il Dio denaro trionfa facendo compiere il male per il male, corrompendo un animo buono e rispecchiando una società che si è perduta irrimediabilmente. Il senso di colpa e di condanna biblici sono riscontrabili nella vena q

Gli invasati

Nei suoi 90 anni di esistenza, Hill House, la dimora dei Crain, si è costruita una sinistra fama. Qui hanno trovato morte violenta le due mogli del proprietario. Vi è invecchiata, senza mai lasciare la camera dei bambini, la figlia Abigail; ed è stata trovata impiccata, suicida, la sua dama di compagnia, che aveva ereditato la magione. Si racconta che strani fenomeni accadano tra le pareti senza angoli retti e gli accessi sbilenchi dell'enorme casa. L'antropologo John Markway, specializzato nello studio del paranormale, elegge il luogo come sede per le sue ricerche. Lo accompagnano come collaboratrici due donne di comprovata iper-sensitività nei confronti del preter-naturale, Eleanor e Theodora, e lo scettico Luke, futuro erede della proprietà. Il film di Robert Wise è un lavoro di eccezionale fattura sia stilistica che narrativa. Fa certamente da capostipite della maggior parte dei film sui fantasmi e le case demoniache che ancora oggi vediamo nei cinema abitualmente. L'in

Macchie solari

Macchie solari è un buon giallo perchè riesce a mantenere un buon livello di suspence per tutta la sua durata. Tecnicamente ben girato sotto tutti i punti di vista langue solo nella trama che presenta numerosi snodi mal riusciti e frettolosamente svolti. Una Roma soffocata dal sole di Agosto assiste ad una serie impressionante si suicidi. Ma quando una ragazza viene trovata morta su una spiaggia suo fratello, prima leggenda dell’automobilismo e poi prete (sic!) stretto dal rimorso per un incidente mortale da lui provocato durante una gara, non crede alla versione ufficiale dei fatti e comincia ad indagare. La sua storia si intreccerà con quella di una ragazza che sta prendendo la specializzazione sulla differenza fra un vero suicidio ed uno simulato, suo padre arrivato ed importante antiquario e un giovane di ricca famiglia, fotografo e dandy. La loro storia porterà a una serie di omicidi sempre più efferati fino alla soluzione finale che porterà alla luce una torbida storia di ricatti

Cobra verde

Cobra Verde, 1987, forse il film più “classico” di Werner Herzog. L’avventuriero Da Silva ( uno spettacolare Klaus Kinski) avventuriero e bandito del Brasile, va in Africa a cercare fortuna. Il mercato degli schiavi alletta i suoi datori di lavoro. Si cimenterà in un lavoro titanico per garantire le “consegne” per tempo. Ma proprio in quegli anni lo schiavismo sarà abolito. Senza speranza, senza un amico, senza un motivo si troverà solo. E lo capirà per la prima volta. In una terra ostile, dominata da ritmi e credenze ancestrali, non gli resterà altro da fare che mettersi a capo di un gruppo di amazzoni da lui addestrate, e conquistare un regno. Ma anche questo si rivela pura illusione. Cercherà di scappare da solo, morendo annegato. L’ultima sequenza rimane impressa nella retina come poche. Uno dei finali più suggestivi della storia del cinema dove il Kinski attore e uomo (ma anche nel retro palco Herzog regista e uomo) si fondono completamente. Memorabili le sfuriate di Kinski che, d

I tre volti della paura

Film a episodi. Ne “Il telefono” una giovane donna viene perseguitata da un maniaco che la vuole uccidere. Alla fine la storia si tramuterà in uno strano menage a tre sordido e pieno di morte. Ne ” I Wurdalak” una famiglia intera cade vittima del vampirismo non riuscendo ad accettare la morte dei propri amati. Ne “La goccia d’acqua” una sprovveduta ruba un anello ad una medium morta durante una seduta spiritica e rimane vittima della sua vendetta. Bava gioca su registri diversi, thriller, gotico e psicoanalitico, riuscendo a miscelarli perfettamente in un film che anticipa i tempi. Si ispira alla letteratura autoriale per ripensarla in chiave tenebrosa e bizzarra, mantenendo una sapiente chiarezza narrativa. La fotografia è come sempre bellissima e calda. La regia pulita, a tratti elegante. L’ episodio più riuscito è quello dei Wurdelak, dove la creazione di un’atmosfera orrorifica e suggestiva è mantenuta alla perfezione sotto tutti gli aspetti dalle scenografie al suono del vento inc

Prigionieri dell'oceano

Quando si scandaglia l’opera di un regista prolifico come Alfred Hitchcock è quasi impossibile non imbattersi in opere poco conosciute e dunque ancor più sorprendenti. Una di queste è: PRIGIONERI DELL’OCEANO (1943 – b/n – durata 96′ – con Tallulah Bankhead, John Hodiak, Walter Slesak, Wiiliam Bendix, Mary Anderson, Hume Cronyn). Una nave passeggeri è affondata in pieno oceano da un sottomarino nazista. I pochi sopravvissuti riescono ad imbarcarsi su una scialuppa. Poco dopo imbarcano un naufrago tedesco. La trama è tutta qui. Il film si svolge tutto su questa scialuppa, questo spazio ristretto che dovrebbe quasi naturalmente essere un limite narrativo destinato ad annoiare lo spettatore, a diluire fino alla morte l’azione e l’interesse. Incredibilmente , nelle mani di Hitchcock, si trasforma in un’opera tesa e in una straordinaria discesa nelle zone d’ombra dell’animo umano. Il film gioca tutto sulla suspence, sulla lotta psicologica dei personaggi, sul sospetto riguardo il nazista acc

The Signal

Sulla cittadina di Terminus si abbatte un segnale etereo che pare sconvolgere la mente di coloro che lo percepiscono. Gli istinti più violenti esplodono per provocare una furia omicida cieca e implacabile. Solo un ragazzo sembra capace di mantenere la propria lucidità e si aggira per una città spettrale e insanguinata alla ricerca della propria ragazza. Riuscirà a tenere a bada la situazione con la sua mente che barcolla fra realtà e incubo? La pellicola comincia con un omaggio ai film thriller degli anni ‘ 70 e prosegue per tutta la sua durata con citazioni intelligenti di vari generi cinematografici e film passati. Tutta la durata vede come protagonista il sangue e la violenza con ettolitri di liquido vitale sulle strade, sui parabrezza, sui muri e sul volto degli attori continuamente impegnati ad ammazzare per non essere ammazzati. Non ci si può fidare di nessuno dal momento che la follia arriva da un momento all’altro accendendo la radio e la televisione. Lo stile della regia è ner