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Visualizzazione dei post da aprile, 2011

La vergine di cera

Un giovane tenente napoleonico (un giovanissimo Jack Nicholson) si smarrisce sulle coste del baltico. Incontra una ragazza che pare dissolversi come uno spettro. Tutto il mistero sembra avere la sua radice nel tenebroso castello di un vecchio barone (interpretato con passione da Boris Kaloff). Un antico delitto e una vendetta covata per anni muovono i fili della vicenda. La trama ha punti deboli e i colpi di scena risultano abbastanza canonici. Se Nicholson appara un poco svogliato Karloff ci mette l’ anima per interpretare la parte di un vecchio ossessionato da un amore disastroso e da un delitto che lascia sensi di colpa incancellabili. Notevoli i ricicli del regista che non si discosta dalla sua filosofia di spendere il meno possibile e guadagnare bene. Ma questa mancanza di mezzi è un pregio più che un difetto. Corman non si discosta dal suo stile gotico per narrare una vicenda abbastanza confusa ma che ha il pregio di funzionare nonostante tutto, soprattutto grazie all’ambientazio

Fitzcarraldo

A Iquitos, Carlos Fitzgerald conosciuto come Fitzcarraldo , intraprende una leggendaria operazione per portare alla luce il suo più grande sogno. Portare l’ opera lirica nel cuore dell’ Amazzonia, costruendo un grande teatro che il mitico tenore italiano Enrico Caruso dovrà inaugurare. Per ottenere il denaro necessario a costruire il teatro si inserirà nel mercato del caucciù, comprerà terra nelle zone più mortifere dell’ Amazzonia, una barca per i commerci e sfiderà la natura. Abbandonato da tutto l’ equipaggio, terrorizzato dalla ferocia di Indios cannibali della zona, si troverà solo e disperato. Ma gli Indios lo scambieranno per un dio venuto a condurli con la sua grande nave bianca verso la terra promessa. Con essi riuscirà a far scavalcare una montagna alla sua nave. Il suo sogno alla fine fallirà ma riuscirà comunque a portare per un giorno il suo sogno nella sua città natale. Hezog si muove come al solito fra l’ accademico e la sregolatezza più genialoide, riuscendo a miscelar

Prima pagina

Billy Wilder dirige “Prima Pagina” nel 1974 ma ambienta la storia alla fine degli anni 20′, quando il giornalismo stava prendendo coscienza della sua forza e del suo potere.Due giornalisti rampanti (Walter Mattahau e Jack Lemon) sono alle prese con uno sccop su un condannato a morte. Dietro la commedia, con tempi perfetti, interpretazioni straordinarie e dialoghi brillanti, si cela una profonda amarezza. Ecco dove Wilder riesce ad arrivare più lontano di altri autori nel modo di gestire ed intendere le commedie. Il film risente molto dell’origine teatrale ma questo aspetto, invece di essere un limite, finisce per dare maggior gusto e compattezza alla vicenda. Il film scivola via come un treno sui binari. Nulla da dire: divertente, geniale, cinico e sarcastico, con i tasselli al loro posto. Dietro la facciata leggera si può leggere però uno degli atti di accusa più acuti e pesanti al regno dei media, alla loro logica, ai loro meccanismi e ai personaggi che lo animano. Esperimento che Wi