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L'ingorgo


Film molto amaro e cinico, capace di alzare il velo sulla natura peggiore del popolo italiano con una straordinaria metafora sul senso della vita e il non senso della società industriale. Visto oggi si comprende la validità dell'opera perchè, a distanza di trent'anni, risulta ancora attualissima. La prova del tempo, per un'opera, è sempre la più difficile.

Luigi Comencini ci porta dentro un grande ingorgo nelle vicinanze di Roma che blocca centinaia di automobilisti nel loro continuo esodo. La situazione fa emergere mille storie, aspirazioni, frustrazioni, sogni, rancori e pensieri che si mescolano nella soffocante immobilità della strada bloccata.


Un grandissimo cast di attori raffinati ed efficaci cerca di rappresentare gli egoismi di una società malata, nevrotica e incapace di soffermarsi a godere della lentezza e del silenzio, indaffarata ad andare in nessuna vera direzione ed eternamente incompiuta, insoddisfatta. Un cimitero di macchine sovrasta le vetture vive e rombanti ma ugualmente immobili perchè costrette a logiche di mobilità assurde e congestionanti, i pilastri della variante autostradale si stagliano nudi, freddi ed incompiuti per via delle solite difficoltà burocratiche a portare a termine il progetto, una casa sta in bilico sullo scavo perchè il proprietario si rifiuta di abbandonarla, anche se sta proprio in mezzo a dove deve passare la nuova strada.
Queste sono tutte metafore della società italiana del tempo e anche di quella attuale. La storia stessa del nostro paese dimostra la verità di quell'ingorgo.



I personaggi sono monadi della situazione generale.
Ad esempio il moribondo in ambulanza (Ingrassia) si interessa soltanto di quanto potrà ottenere con il risarcimento perchè lo hanno investito sulle strisce. Gli infermieri invece si disperano perchè l'ingorgo li farà arrivare tardi per vedere la partita della nazionale di calcio.
Un gruppo di distinti signori  assiste passivo allo stupro di una ragazza da parte di tre giovani della "Roma bene" che scendono dal loro Range Rover per compiere il fattaccio in impeccabili vestiti bianchi. I quattro signori non fanno nulla per impedirlo perchè tanto "Non è mica figlia mia quella, non mi riguarda!".

L'ingegnere ricco e iperattivo (Sordi) si dichiara socialista ma è schifato dalla sola presenza della persone povere che gli chiedono un aiuto. Critica gli zotici che non sanno nulla e non conoscono le leggi ma poco prima usava la scia di un'ambulanza per evitare il traffico.



Il famoso attore (Mastroianni) accetta l'ospitalità di un poveraccio che spera così di avere un posto di autista a Cinecittà ma alla prima occasione si tromba la moglie gravida di costui.

E poi tradimenti, ignoranza, segreti e mille altre storie e miserie che si spostano dagli abitacoli alla strada e viceversa.

Soltanto nel momento della partita di calcio seguita via radio sembra rianimarsi un certo spirito nazional-popolare e di orgoglio comune che porta euforia e sorrisi.

Comencini vuole mostrare un mondo dove gli uomini sono schiavi degli oggetti e delle macchine. L'autovettura, che è fatta per viaggiare, rimane ferma e risulta svuotata dalla sua funzione utile per assurgere a mero status symbol, a gabbia che imprigiona il nostro tempo e il nostro denaro.
L'umanità appare un gregge uniformato dove tutti sono pronti a fare scoppiare la moda dell'omogeneizzato come cibo del futuro e dove al primo suono di clacson tutti si precipitano a dare gas per rimanere inesorabilmente fermi.



Insomma la fotografia di una società immobile e incorreggibile che non sa guardare al passato come esempio e neppure al futuro come speranza.
Incredibile il sermone laico finale sul corpo di Ingrassia che parla di redenzione dal capitalismo, dalla logica del guadagno, dalla logica della produzione ad ogni costo e

Stupore per la bellezza della scenografia. Una strada interamente ricostruita a Cinecittà.



Salvatore Floris

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