Vita morte e omicidi dell’efferato e crudele assassino Mike Myers.
Il capolavoro di Carpenter era già perfetto per questo ritengo un poco inutile cercare di rifarlo. Apprezzo lo stile di Zombie e tutta la vera passione che mette nei suoi film compreso questo, soprattutto questo.
La parabola di Mike Myers è anche quella di un male che non ha spiegazione, che esiste e basta. Senza sempliciotte spiegazioni psicologiche e sociologiche. Il merito di Zombie sta, prima di tutto nell’essere stato capace di mantenere questa impostazione inquietante che aveva fatto la fortuna del suo capostipite. Il secondo merito è quello di aver fatto contemporaneamente un prequel abbastanza convincente sulla nascita della leggenda di Myers e un remake non disdicevole. La scelta di mostrare il volto dell’assassino almeno da bambino è sicuramente coraggiosa.
Il piccolo demonio non ha nulla di apocalittico o mostruoso ma risulta assolutamente normale, anzi ben voluto da una madre che fino all’ultimo cerca di stargli vicino. Per il resto il piccolo è circondato dall’indifferenza della sorella maggiore e dalla volgarità del patrigno. L’unica che si salva dalla sua furia adolescenziale e matura è la sorella minore. Questa normalità è la chiave per comprendere e reggere tutta l’inquietante figura di Myers.
Ritengo dunque che Rob Zombie abbia fatto un lavoro intelligente e curato seppur non eccelso e baracconesco in molti punti. Ha del talento visionario e si nota soprattutto nelle scene di violenza anche se la sua violenza molto gore non è fra le mie preferite.
La scena che mi è rimasta più impressa è quella finale con la bocca della co-protagonista piena di sangue aperta in un urlo disperato e liberatorio insieme.
Salvatore Floris
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