Passa ai contenuti principali

Halloween di Rob Zombie



Vita morte e omicidi dell’efferato e crudele assassino Mike Myers. 
Il capolavoro di Carpenter era già perfetto per questo ritengo un poco inutile cercare di rifarlo. Apprezzo lo stile di Zombie e tutta la vera passione che mette nei suoi film compreso questo, soprattutto questo.
La parabola di Mike Myers è anche quella di un male che non ha spiegazione, che esiste e basta. Senza sempliciotte spiegazioni psicologiche e sociologiche. Il merito di Zombie sta, prima di tutto nell’essere stato capace di mantenere questa impostazione inquietante che aveva fatto la fortuna del suo capostipite. Il secondo merito è quello di aver fatto contemporaneamente un prequel abbastanza convincente sulla nascita della leggenda di Myers e un remake non disdicevole. La scelta di mostrare il volto dell’assassino almeno da bambino è sicuramente coraggiosa.

Il piccolo demonio non ha nulla di apocalittico o mostruoso ma risulta assolutamente normale, anzi ben voluto da una madre che fino all’ultimo cerca di stargli vicino. Per il resto il piccolo è circondato dall’indifferenza della sorella maggiore e dalla volgarità del patrigno. L’unica che si salva dalla sua furia adolescenziale e matura è la sorella minore. Questa normalità è la chiave per comprendere e reggere tutta l’inquietante figura di Myers.
Ritengo dunque che Rob Zombie abbia fatto un lavoro intelligente e curato seppur non eccelso e baracconesco in molti punti. Ha del talento visionario e si nota soprattutto nelle scene di violenza anche se la sua violenza molto gore non è fra le mie preferite.

La scena che mi è rimasta più impressa è quella finale con la bocca della co-protagonista piena di sangue aperta in un urlo disperato e liberatorio insieme.

Salvatore Floris

Commenti

Post popolari in questo blog

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il pre

Drag me to hell

R aimi torna al suo primo amore ed al suo elemento naturale: il genere horror. Lo fa con il suo solito stile e le sue armi. Una regia virtuosa, snella e narrativamente efficace. Come tutti i i suoi film “Drag me to Hell” si beve tutto d’un fiato. Riesce a miscelare intelligentemente humor nero, splatter e terrore garantendo un livello di sarcasmo e cinismo non superficiale. Interessante l’analisi della protagonista che si discosta moltissimo dalla solita colomba bianca e immacolata ingiustamente perseguitata dal male. Anzi la sua figura serve a veicolare un messaggio sociale di Raimi abbastanza pungente per i suoi canoni. Nessuno pare innocente, né i bambini, né le ragazze arrembanti che decidono di non concedere una dilazione della rata per arrivare alla promozione… Christine è un’impiegata "rampante" all’ufficio prestiti di un grande istituto di credito che per ottenere una promozione a scapito di un collega vuole mostrare al suo capo quanto "dura" e inflessibi