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Django



In un paesino dimenticato da Dio, sulla frontiera fra Stati Uniti e Messico, dove si fronteggiano da tempo due gruppi armati irregolari, la setta razzista di incappucciati rossi comandati dal maggiore Jackson e i messicani rivoluzionari comandati dal generale Rodriguez, arriva Django, un reduce di guerra in cerca di vendetta per l’assassinio della moglie avvenuto in sua assenza.Approfittando dell’effetto sorpresa costituito da un fucile mitragliatore che tiene nascosto in una bara che porta con sé, Django ha la meglio sugli uomini di Jackson, conquistandosi la fiducia dei rivoluzionari, con cui organizza un riuscito attacco ad un forte. Al momento della spartizione del bottino d’oro, Django non ottiene quello che vuole e decide di prendersi tutto. Il tentativo fallisce, l’oro va perso e Rodriguez, pur non uccidendolo, gli fa spappolare le mani.
Pur con questa menomazione, Django decide di affrontare una volta per tutte Jackson, che nel frattempo ha tolto di mezzo i messicani grazie all’esercito governativo. Il confronto finale è in un cimitero.(Wikipedia)
Si può dire di no?

Quello che colpisce di Django è il personaggio impersonato da Franco Nero (incredibilmente somigliante e Terence Hill da giovane o meglio il contrario) che ne è più di ogni altra pellicola il perno ineliminabile. Antieroe senza nome e senza passato trasuda tutto di morte. La morte lo segue e lo colpisce, lui la dispensa con precisione e senza discernere, cosa incarnata perfettamente dal suo strumento di morte mitragliatore dentro la sua cassa da morto che si trascina dietro. In una battuta del film dirà che li c’è seppellito lui. Forse. Ci può essere tutto in quella cassa, un’anima, un ricordo, un passato, un futuro, un’arma o anche dell’oro. Il film ebbe un successo strepitoso in tutto il mondo ed ancora oggi è considerato uno dei pilastri dello spaghetti western nonché pellicola di culto inattaccabile. Il lavoro maggiore è stato fatto a livello di inquadratura. Sporche, ricercate e particolari quelle che Corbucci ci presenta. Anche la musica fa la sua parte senza appesantire ma anzi dando un certo taglio epico alla storia. Unica nota veramente dolente la recitazione dell’attrice protagonista che rasenta il mobilio della scenografia in molti frangenti. ‘è la forte lezione del cinema di Leone ancora fresca. Il personaggio senza storia e senza passato, il paesino vittima della prepotenza,la violenza indiscriminata di tutti gli schieramenti e personaggi coinvolti, la misoginia, la brama di potere e di oro, il destino tragico di quelli che stanno in un mondo dove non c’è posto per la pace. Le inquadrature strettissime sugli occhi e i campi lunghi delle sparatorie. Comunque Django non è un clone di "Per un pugno di dollari" ma un fratello minore ben riuscito. La sceneggiatura pecca in molti passaggi e lascia spazio anche a qualche sorriso per l’ingenuità, tuttavia mantiene un certo fascino del racconto presentato con le connotazioni del mito e un finale tragico – metafisico che piace per la sua semplicità e secchezza.

Salvatore Floris

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