Passa ai contenuti principali

Viale del tramonto




Alcuni pensano che la grande rivoluzione del cinema sia stata l’ introduzione del colore. Non è affatto vero, la vera rivoluzione è stata quella di introdurre il sonoro nel cinema. I film muti non erano mai veramente tali. Avevano un accompagnamento musicale, avevano dei professionisti che facevano i rumori, come campanelli o clacson. Ma i dialoghi, le voci e i suoni dell’ ambiente non erano presenti. Con il sonoro molti attori finirono in soffitta. Alcuni avevano una voce orribile, altri non si riuscirono semplicemente ad adattare al nuovo linguaggio del cinema e alle nuove tecniche che richiedevano anche la voce. Questo vale anche per i registi. Non si tratta di un problema di apprendimento della tecnica, ma proprio di apprendere un nuovo linguaggio per esprimersi. Se il colore immette nuove forme e pochi contenuti nel cinema (ad esempio col suo uso simbolico) il suono immette un contenuto nuovo. Il cinema diventa quasi un’ altra arte. Mutano la recitazione, il montaggio, l’ inquadratura, la sceneggiatura. Muta tutto.


I divi e i geni di un tempo si ritrovano nuovamente uomini qualunque. Alcuni si adattano come Chaplin, anche se in ritardo. Alcuni, come la protagonista di Viale del tramonto di Billy Wilder, cadono nella follia, non riuscendo a superare un passato glorioso oramai svanito. La finzione e la storia si confondono, soprattutto nel personaggio del maggiordomo Max, interpretato da Eric von Stroheim, uno dei padri del cinema adesso semplice domestico nella vita e nella settima arte. Un capolavoro assoluto, immenso, analizzabile da punti di vista diversi. La storia in se già lo sosterrebbe. Wilder ci aggiunge un amarissimo riferirsi alla realtà, dove personaggi mitici del passato e del presente (vedi Cecil B. deMille), gettano un ponte su quella che è storia – storiografica di Hollywood e non solo. Aumentano così l’ amarezza per un mondo perduto e per la miseria umana che non riesce ad accettare i proprio limiti temporali.

Salvatore Floris

Commenti

  1. un vero CAPOLAVORO
    dramma allo stato puro, però con uno stile meno cupo (in certi momenti sfiora la commedia) rispetto agli altri film di Wilder (la fiamma del peccato, giorni perduti, ecc)

    RispondiElimina
  2. Esatto, è incredibile l'equilibrio fra humor nero, dramma e commedia che Wilder è riuscito a costruire.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il pre

Drag me to hell

R aimi torna al suo primo amore ed al suo elemento naturale: il genere horror. Lo fa con il suo solito stile e le sue armi. Una regia virtuosa, snella e narrativamente efficace. Come tutti i i suoi film “Drag me to Hell” si beve tutto d’un fiato. Riesce a miscelare intelligentemente humor nero, splatter e terrore garantendo un livello di sarcasmo e cinismo non superficiale. Interessante l’analisi della protagonista che si discosta moltissimo dalla solita colomba bianca e immacolata ingiustamente perseguitata dal male. Anzi la sua figura serve a veicolare un messaggio sociale di Raimi abbastanza pungente per i suoi canoni. Nessuno pare innocente, né i bambini, né le ragazze arrembanti che decidono di non concedere una dilazione della rata per arrivare alla promozione… Christine è un’impiegata "rampante" all’ufficio prestiti di un grande istituto di credito che per ottenere una promozione a scapito di un collega vuole mostrare al suo capo quanto "dura" e inflessibi

Halloween di Rob Zombie

Vita morte e omicidi dell’efferato e crudele assassino Mike Myers.  Il capolavoro di Carpenter era già perfetto per questo ritengo un poco inutile cercare di rifarlo. Apprezzo lo stile di Zombie e tutta la vera passione che mette nei suoi film compreso questo, soprattutto questo. La parabola di Mike Myers è anche quella di un male che non ha spiegazione, che esiste e basta. Senza sempliciotte spiegazioni psicologiche e sociologiche. Il merito di Zombie sta, prima di tutto nell’essere stato capace di mantenere questa impostazione inquietante che aveva fatto la fortuna del suo capostipite. Il secondo merito è quello di aver fatto contemporaneamente un prequel abbastanza convincente sulla nascita della leggenda di Myers e un remake non disdicevole. La scelta di mostrare il volto dell’assassino almeno da bambino è sicuramente coraggiosa. Il piccolo demonio non ha nulla di apocalittico o mostruoso ma risulta assolutamente normale, anzi ben voluto da una madre che fino a