Passa ai contenuti principali

Outlander

La contaminazione dei generi è un’operazione delicata che può facilmente scendere in ridondanti riproposte di personaggi e situazioni molto note e oramai indigeste alla retina.

Outlander – L’ultimo vichingo non possiede l’originalità di capostipite eppure riesce a rimanere su livelli godibili di azione e su un livello di lettura fiabesca che non scade in scene troppo frammassone ed esagerate.

Prende in parte da "Predator" e in parte da "L’armata delle tenebre" senza tuttavia ricalcare pedantemente i due capolavori ma lasciando che la loro geniale idea di fondo rimanga a dare linfa all’opera.

Un prodotto ben confezionato con una buona recitazione senza nessuno che vada oltre il compitino ma neppure oltre quello che è richiesto.

Tecnica e tecnologia debitamente aggiornati e a passo coi tempi.

Il rapporto fra l’Alieno e i vichinghi dell’ VIII secolo dopo Cristo non ha nulla di antropologico e profondo ma neanche di troppo inverosimile. Nella scena iniziale il protagonista apprende la lingua del popolo attraverso un procedimento neuro-informatico. Non ha nulla di troppo verosimile questa sequenza ma per un’opera del genere non bisogna neppure disprezzare lo sforzo di trovare delle motivazioni e delle spiegazioni alle vicende ed ai rapporti fra i personaggi. In genere queste opere non si pongono neppure il problema e ci troviamo davanti a esseri verdognoli che parlano in perfetto slang americano per grazia divina.

Belle le scene con il mostro e terrificante il suo aspetto nonché la sua sete si morte. Le sue armi di offesa e caccia sono poi debitamente e sapientemente miscelate per renderlo credibile come mostro alieno.

Non superficiale la sua rabbia dovuta allo sterminio della sua specie che non lo mette certo in un piano inferiore della razza che ha distrutto il suo mondo.

C’è il re valoroso e c’è la sua fiera figlia ma non è presente la solita scena di sesso con lo straniero. Invece una sua scelta importante e sofferta verso un amore profondo.

Sempliciotto in certi passaggi e snodi e frettoloso nel sviluppare solo certi aspetti della storia.

Per il resto godibile e circondato da paesaggi bellissimi che fanno rimpiangere le epoche antiche.


Salvatore Floris

Commenti

Post popolari in questo blog

Detour

Al Roberts  è Un pianista mezzo fallito che suona in un locale per mantenersi a galla. Culla sogni di gloria ma oramai pare essere un disilluso inappagabile. Decide di andare a trovare la sua amata Susy a Hollywood, dove si è recata per cercare quella fortuna che a lui sembra ormai preclusa. Nel viaggio sarà travolto da avvenimenti surreali e si troverà imprigionato da un destino che ha scelto di condurlo in posti dove non voleva assolutamente andare. Ulmer  si muove su un canovaccio noir abbastanza consueto ma solo per rinnovarlo e capovolgerlo dall’interno. La riflessione che ne scaturisce è tutt’ altro che banale. E’ l’uomo a scegliere e determinare il destino con le proprie azioni o siamo in balia di forze estremamente più grandi di noi, contro le quali è inutile combattere? Si tratta sostanzialmente di un “on the road”, narrato dal punto di vista del protagonista che, con un lungo flashback, attende arrendevole la nuova mossa che il destino gli ha riserbato. Il...

L'ingorgo

Film molto amaro e cinico, capace di alzare il velo sulla natura peggiore del popolo italiano con una straordinaria metafora sul senso della vita e il non senso della società industriale. Visto oggi si comprende la validità dell'opera perchè, a distanza di trent'anni, risulta ancora attualissima. La prova del tempo, per un'opera, è sempre la più difficile. Luigi Comencini ci porta dentro un grande ingorgo nelle vicinanze di Roma che blocca centinaia di automobilisti nel loro continuo esodo. La situazione fa emergere mille storie, aspirazioni, frustrazioni, sogni, rancori e pensieri che si mescolano nella soffocante immobilità della strada bloccata. Un grandissimo cast di attori raffinati ed efficaci cerca di rappresentare gli egoismi di una società malata, nevrotica e incapace di soffermarsi a godere della lentezza e del silenzio, indaffarata ad andare in nessuna vera direzione ed eternamente incompiuta, insoddisfatta. Un cimitero di macchine sovrasta le vettu...

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il...