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La vergine di cera


Un giovane tenente napoleonico (un giovanissimo Jack Nicholson) si smarrisce sulle coste del baltico. Incontra una ragazza che pare dissolversi come uno spettro. Tutto il mistero sembra avere la sua radice nel tenebroso castello di un vecchio barone (interpretato con passione da Boris Kaloff). Un antico delitto e una vendetta covata per anni muovono i fili della vicenda.

La trama ha punti deboli e i colpi di scena risultano abbastanza canonici. Se Nicholson appara un poco svogliato Karloff ci mette l’ anima per interpretare la parte di un vecchio ossessionato da un amore disastroso e da un delitto che lascia sensi di colpa incancellabili. Notevoli i ricicli del regista che non si discosta dalla sua filosofia di spendere il meno possibile e guadagnare bene. Ma questa mancanza di mezzi è un pregio più che un difetto. Corman non si discosta dal suo stile gotico per narrare una vicenda abbastanza confusa ma che ha il pregio di funzionare nonostante tutto, soprattutto grazie all’ambientazione riuscita e a una riflessione finale sul rapporto fra amore e morte, sull’impossibilità della felicità ormai perduta e sulle ossessioni di uomini che non vogliono accettare la vita e la sua precarietà.

Da notare che vi fu la prima importante presenza di Francis Coppola in un film che aiutò anche a migliorare la sceneggiatura. Da segnalare inoltre la prima parte importante di Nicholson che dimostra la bravura di Corman nella scoperta di nuovi talenti come nel rispolvero di vecchie glorie del cinema.

Salvatore Floris

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