Billy Wilder dirige “Prima Pagina” nel 1974 ma ambienta la storia alla fine degli anni 20′, quando il giornalismo stava prendendo coscienza della sua forza e del suo potere.Due giornalisti rampanti (Walter Mattahau e Jack Lemon) sono alle prese con uno sccop su un condannato a morte. Dietro la commedia, con tempi perfetti, interpretazioni straordinarie e dialoghi brillanti, si cela una profonda amarezza. Ecco dove Wilder riesce ad arrivare più lontano di altri autori nel modo di gestire ed intendere le commedie. Il film risente molto dell’origine teatrale ma questo aspetto, invece di essere un limite, finisce per dare maggior gusto e compattezza alla vicenda. Il film scivola via come un treno sui binari. Nulla da dire: divertente, geniale, cinico e sarcastico, con i tasselli al loro posto. Dietro la facciata leggera si può leggere però uno degli atti di accusa più acuti e pesanti al regno dei media, alla loro logica, ai loro meccanismi e ai personaggi che lo animano.
Esperimento che Wilder aveva già tentato con successo nel film (drammatico) “L’asso nella manica”, con Kirk Douglas. Il valore della vita umana e la libertà delle scelte sono soffocate dall’ossessione per il lavoro ed il successo. Tutto è sacrificato alla logica dell’essere più bravi, più rapidi e svegli in una società che assomiglia in un campo di battaglia ipocritamente privo di armi materiali. Neppure i protagonisti ne escono bene. Solo una prostituta mantiene una certa dimansione umana buttandosi da una finestra per salvare il suo amato-condannato a morte in pericolo. Ma il suo gesto sarà subito ingoiato dalla logica della stampa e trasformato in atto da vendere e stra-vendere. Il mondo è folle. Wilder ce lo fa vedere con la grazia del sorriso.
Salvatore Floris
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