Passa ai contenuti principali

Cani arrabbiati


Una banda di criminali porta a termine una rapina ad un porta valori che consegna gli stipendi in una clinica medica: un centinaio di milioni. Nella disperata fuga lascia dietro di se una lunga scia di sangue e morte. Prende in ostaggio una donna, un uomo e un bambino. Comincia la fuga verso la libertà.

Un road-movie di eccezionale tensione e profondità che sopperisce con un’accurata psicologia dei personaggi alla limitazione narrativa di un film che si svolge per la maggior parte dentro una macchina in movimento. I banditi si dividono in sadici violenti (32 e Bisturi) e in riflessivi, freddi calcolatori (il Dottore). Le vittime sono il bambino, sempre in stato di incoscienza, la donna, nevrotica ed esagitata e l’uomo che conduce la macchina, anche lui calmo e capace di resistere alla situazione. Il caldo torrido, il sudore, il sangue, la suspense e una violenza principalmente psicologica, più che fisica pervadono tutta la pellicola mettendo a dura prova il senso di sopportazione dello spettatore.

Bava fa il maestro di bravura. Inquadrature particolari e distorte si accoppiano ad altre quasi classiche nel loro taglio. Profondità di campo esasperate fino alla distorsione si accostano a primissimi piani e particolari degli occhi. Il montaggio frenetico e destrutturante si contrappone a sofisticati ralenti. Una fotografia satura e calda incide sull’ atmosfera claustrofobica e soffocante del film.

Durante i titoli di testa una lunga carrellata all’ indietro svela a poco a poco la silhouette di una donna che piange sconfortata. Di chi si tratta? Lo si scoprirà solo alla fine con un colpo di teatro che lascerà a bocca aperta i meno smaliziati da questo tipo di pellicole e costringerà lo spettatore a rivalutare l’intera vicenda alla luce della nuova rivelazione.

Salvatore Floris

Commenti

  1. Mi tocca approfondire Bava. Sperando che Iris non abbia già passato questo film.

    RispondiElimina
  2. Beh, Bava va sicuramente approfondito e rivisto per cercare di dargli, anche tramite il passaparola, il posto che gli spetta nella cinematografia mondiale.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Detour

Al Roberts  è Un pianista mezzo fallito che suona in un locale per mantenersi a galla. Culla sogni di gloria ma oramai pare essere un disilluso inappagabile. Decide di andare a trovare la sua amata Susy a Hollywood, dove si è recata per cercare quella fortuna che a lui sembra ormai preclusa. Nel viaggio sarà travolto da avvenimenti surreali e si troverà imprigionato da un destino che ha scelto di condurlo in posti dove non voleva assolutamente andare. Ulmer  si muove su un canovaccio noir abbastanza consueto ma solo per rinnovarlo e capovolgerlo dall’interno. La riflessione che ne scaturisce è tutt’ altro che banale. E’ l’uomo a scegliere e determinare il destino con le proprie azioni o siamo in balia di forze estremamente più grandi di noi, contro le quali è inutile combattere? Si tratta sostanzialmente di un “on the road”, narrato dal punto di vista del protagonista che, con un lungo flashback, attende arrendevole la nuova mossa che il destino gli ha riserbato. Il...

L'ingorgo

Film molto amaro e cinico, capace di alzare il velo sulla natura peggiore del popolo italiano con una straordinaria metafora sul senso della vita e il non senso della società industriale. Visto oggi si comprende la validità dell'opera perchè, a distanza di trent'anni, risulta ancora attualissima. La prova del tempo, per un'opera, è sempre la più difficile. Luigi Comencini ci porta dentro un grande ingorgo nelle vicinanze di Roma che blocca centinaia di automobilisti nel loro continuo esodo. La situazione fa emergere mille storie, aspirazioni, frustrazioni, sogni, rancori e pensieri che si mescolano nella soffocante immobilità della strada bloccata. Un grandissimo cast di attori raffinati ed efficaci cerca di rappresentare gli egoismi di una società malata, nevrotica e incapace di soffermarsi a godere della lentezza e del silenzio, indaffarata ad andare in nessuna vera direzione ed eternamente incompiuta, insoddisfatta. Un cimitero di macchine sovrasta le vettu...

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il...