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Nel paese delle creature selvagge

Se il cinema ha il principale compito di riuscire a portarci in luoghi inesplorati e irraggiungibili nella banale quotidianità, questo film ci riesce benissimo. Per di più ci porta in uno dei luoghi più inaccessibili e complessi che si possano immaginare:l’animo di un bambino alle soglie dell’adolescenza che si sente solo e impaurito.Dal breve libro illustrato di Max Sendack. Max è il più piccolo della famiglia. Con poche ed efficacissime inquadrature Jonze riesce a dare uno spaccato esaustivo del carattere complesso e difficile di Max ed anche ad introdurci la sua solitudine insieme alle sue fughe di fantasia estreme. Una famiglia lacerata dalla separazione dei genitori, una sorella distante e troppo grande, una madre in difficoltà con la vita ed il lavoro che non riesce a gestire al meglio la sofferenza dei figli. Max scappa di casa e prende una barca che da una riva indefinita lo porta ad una sorta di isola che non c’è, circondata da un mare burrascoso e incontaminata. Splendida e inquietante metafora delle varie facce dell’animo di Max, le incarnazioni delle sue speranze e ansie, gli sfoghi della sua fantasia. Alcune creature poi incarnano con maggiore chiarezza i suoi sensi di colpa oppure il modo in cui si sente visto dagli altri. Soprattutto dalla madre.

Inutilmente indicato come un film per bambini (per motivi di box office) è invece una lucida riflessione e analisi della complessità umana e appare come uno dei maggiori film per adulti che siamo mai stati filmati. Qui non c’è spazio per i fuochi d’artificio dei block-buster americani o per il gioioso splatter del cinema francese degli ultimi anni. Qui si gioca ma solo come possono farlo i bambini. Giocare è una cosa seria.

Jonze riesce a velare la favola con un taglio Dark e visionario che affascina e inquieta come in un sogno. Gran parte del lavoro la fanno la colonna sonora e la fotografia incredibilmente realistica , con un sapiente uso dei controluce per stagliare le forme geometriche delle creature e del costume di Max, quasi si trattasse della cristallizzazione di un mondo inventato come via di fuga dalle proprie paure.

Il percorso di Max per “diventare grande” è lungo e anche difficile e dovrà diventare re delle creature per poter sapere chi veramente è. Il suo cammino comincia per caso su un mare notturno e con una foga distruttiva che sbriciola le case dove abitano i propri amici.

Imparerò a decidere e a tenere in considerazione varie anime e componenti.

Nascerà una seconda volta dal ventre della sua proiezione più dolce, matura e comprensiva per poter guardare la madre invertendo le parti e rendendosi conto che può essere anche lui un supporto per lei, libero del suo egoismo capriccioso per ottenere attenzione.

Di rara bellezza i mostri creati da Jonze che risultano umani e indecifrabili contemporaneamente.

Assomigliano ad animali conosciuto e ragionano come tali solo nei confini di quello che può essere un essere del genere nella fantasia di un ragazzo. Non sono definiti e formati come non lo può essere la personalità di Max.

“Hai presente la sensazione che si prova quando si perde un dente?” – dice Carol (l’incarnazione maggiormente vicina al vero stato d’animo di Max) – mostrandogli il suo splendido museo che nessuno viene a visitare – “Ti fa male e d’improvviso lo hai perso, non lo hai più”.

Il parallelo con Max che chiama la madre per giocare nella sua camera e non è ascoltato come lo era da piccolo ritorna subito alla mente.

Un film destinato a durare e tanto come punto di riferimento del fantasy per molti anni a venire.


Salvatore Floris

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