Passa ai contenuti principali

Holocaust 2000

Holocaust 2000 è un interessante divagazione del genere apocalisse – anticristo. Si tratta di un lavoro del 1977 di Alberto De Martino che ha il pregio di sfornare un prodotto internazionale seppur agendo e facendo un film tutto nostrano. Il taglio internazionale è dato dalla star assoluta Kirk Douglas e dal taglio registico molto composto e semplice di De Martino che riesce a trovare inquadrature efficaci, narrative e fluide.

Un industriale potente e influente vuole costruire una centrale nucleare per dare prosperità a zone del terzo mondo in preda alla fame e alla disperazione. Quanto c’è di filantropia e quanto interesse economico? Non lo scopriremo mai del tutto anche se nel corso della visione ci rendiamo conto che lo spessore morale e il cinismo del grande uomo d’affari non è nella media dei suoi colleghi spregiudicati e incapaci di avere una crisi di coscienza. Piano piano riusciamo acomprendere che l’apocalisse non è altro che la devastazione ecologica che metterà l’umanità in ginocchio. In un modo abbastanza ingenuo e superficiale la fine del mondo viene fatta derivare dalla follia umana e dall’uso del suo strumento più terrificante: l’energia atomica. Le turbine e le caratteristiche dell’impianto sono fatte coincidere con le caratteristiche della bestia descritta da San Giovanni. Sette turbine, dieci generatori, dieci impianti di controllo…che coincidono appunto con il mostro a sette teste, dieci corna e dieci corone. Insomma il messaggio è chiaro. La fine del mondo si è aggiornata e verrà con i metodi e le caratteristiche del progresso. Una certa suspense viene mantenuta per tutta la pellicola visto che lo spettatore non è certo della reale identità del figlio del diavolo fino alla fine ed anzi per buona parte del film è sviato nelle sue supposizioni. Fino al colpo di scena finale abbastanza intuibile ma non scontatissimo. Certi snodi narrativi sono forzati per non dire incomprensibili ma l’opera fila fino al suo termine abbastanza tranquillamente. Non si tratta di un capolavoro o di un film rivoluzionario ma certamente mette in scenal’arte di un regista artigiano che sa dialogare sapientemente con lo spettatore.

Salvatore Floris

Commenti

Post popolari in questo blog

Detour

Al Roberts  è Un pianista mezzo fallito che suona in un locale per mantenersi a galla. Culla sogni di gloria ma oramai pare essere un disilluso inappagabile. Decide di andare a trovare la sua amata Susy a Hollywood, dove si è recata per cercare quella fortuna che a lui sembra ormai preclusa. Nel viaggio sarà travolto da avvenimenti surreali e si troverà imprigionato da un destino che ha scelto di condurlo in posti dove non voleva assolutamente andare. Ulmer  si muove su un canovaccio noir abbastanza consueto ma solo per rinnovarlo e capovolgerlo dall’interno. La riflessione che ne scaturisce è tutt’ altro che banale. E’ l’uomo a scegliere e determinare il destino con le proprie azioni o siamo in balia di forze estremamente più grandi di noi, contro le quali è inutile combattere? Si tratta sostanzialmente di un “on the road”, narrato dal punto di vista del protagonista che, con un lungo flashback, attende arrendevole la nuova mossa che il destino gli ha riserbato. Il...

L'ingorgo

Film molto amaro e cinico, capace di alzare il velo sulla natura peggiore del popolo italiano con una straordinaria metafora sul senso della vita e il non senso della società industriale. Visto oggi si comprende la validità dell'opera perchè, a distanza di trent'anni, risulta ancora attualissima. La prova del tempo, per un'opera, è sempre la più difficile. Luigi Comencini ci porta dentro un grande ingorgo nelle vicinanze di Roma che blocca centinaia di automobilisti nel loro continuo esodo. La situazione fa emergere mille storie, aspirazioni, frustrazioni, sogni, rancori e pensieri che si mescolano nella soffocante immobilità della strada bloccata. Un grandissimo cast di attori raffinati ed efficaci cerca di rappresentare gli egoismi di una società malata, nevrotica e incapace di soffermarsi a godere della lentezza e del silenzio, indaffarata ad andare in nessuna vera direzione ed eternamente incompiuta, insoddisfatta. Un cimitero di macchine sovrasta le vettu...

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il...