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Il grande Racket


Ecco la trama di quest’ottimo poliziesco del 1976, diretto dal sempre bravo e interessante Enzo G. Castellari"Il mareciallo Nicola Palmieri della polizia romana è sulle piste di una banda di taglieggiatori: le sue indagini, però, sono ostacolate dalla paura delle vittime e dall’ostilità dei superiori, che non approvano i suoi metodi. Deciso a proseguire per la sua strada il maresciallo s’accorda con due malviventi di mezza tacca, zio Pepe e suo nipote Picchio che in cambio di una certa libertà d’azione gli forniscono informazioni sulla banda. Presente, grazie a Pepe sul luogo di una rapina messa a segno dai banditi, la polizia ingaggia con loro, una furiosa sparatoria in questa occasione, è di valido aiuto a Palmieri un campione olimpionico di tiro al piattello, l’ingegnere Gianni Rossetti. Mentre, però, i delinquenti si vendicano sia del Rossetti, bruciandogli viva la moglie, sia di Pepe, facendogli uccidere il nipote, Palmieri viene costretto a lasciare la polizia Ciò, pero, non basta a fermarlo: spalleggiato dal Rossetti, da zio Pepe e da altre vittime della banda, il maresciallo affronta i delinquenti nella loro tana facendone piazza pulita".

[tratto da Cinematografo.it]

Un western metropolitano che è anche un poliziesco abbastanza classico. La novità sta nel fatto che la decisione del protagonista di agire da solo e fare a modo suo questa volta arriva agli estremi. Palmieri mette su una specie di Stato nello Stato e assolda una banda di mercenari decisi a farsi vendetta. Sono determinati e spietati e fanno una carneficina di carnefici. Sociologicamente mette in luce il clima di violenza e corruzione dominanti nel pieno degli anni ‘70. I criminali sono veramente crudeli e senza pietà, neppure per una bambina, e tremendamente normali nelle loro facce e nei loro atteggiamenti. Naturalmente il film fu subito tacciato di fascismo il che oggigiorno non è un difetto ma un pregio. Questo perché la politica col cinema ha poco da spartire e il fatto che un film sia così deciso nella sua spettacolarità oggi fa venire voglia di applaudire per il coraggio. Castellari non è fascista ma un regista tutto d’un pezzo che ha voglia di studiare dei personaggi al limite che non si pongono scrupoli. Sulla scia di Peckinpah, Castellari continua un interessante studio stilistico soprattutto sul montaggio e sull’uso dei ralenti. Le scene di sparatoria sono fra le migliori e più articolate del nostro cinema poliziesco. L’opera risulta sicuramente al di sopra della media dei film di genere di quegli anni e presenta una riscoperta di un regista che con quest’opera e anche con un western importante come Keoma ha dimostrato di essere un personaggio importante del nostro cinema.

Salvatore Floris

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