Ci sono film che mi colpiscono in modo inatteso e folgorante. Indipendentemente dalla loro oggettiva validità, sono film che rimarranno impressi nella mia memoria. Solo per pochi altri mi è capitato in passato. Dipenderà dalla soggettività dello spettatore o da un suo momento particolare. Fatto sta che questa pellicola di Aldo Lado mi è rimasta dentro ed alcuni suoi passaggi faranno parte del mio immaginario cinematografico. La storia è quella di due adolescenti che rientrano in Italia da una vacanza in Germania per il Natale e per paura dell’aereo decidono di servirsi del treno. Il loro convoglio viene però bloccato da un allarme bomba. Decidono di prendere una coincidenza notturna per Verona al volo. Ma all’interno di quel treno le aspetta la violenza e la morte più atroce che ci si possa immaginare. Intanto i genitori di una delle due aspettano ansiosi e felici l’arrivo delle due. Ma alla stazione si imbattono solo nei criminali che le hanno massacrate e per un puro caso li ospitano a casa loro. Alla fine la verità salirà a galla e la vendetta sarà implacabile. Questa è la trama in un perfetto stile RAPE & REVENGE. Il punto di riferimento dichiarato non è tanto quello di Wes Craven in "L’ultima casa a sinistra" che puntava più sul grottesco ed nel suo sfociare sovente nel crudele ma "La fontana della vergine" di Bergman, ove ad una purezza disinteressata si contrappone una violenza e volgarità al limite del bestiale con conseguente uscita di senno della persona colpita dal lutto che sfoga tutta la sua rabbia repressa in un ultimo e supremo gesto di ribellione e vendetta. Tutta la prima parte si rifà al grande Hitchcock ed è quasi ipnotica nel seguire le vicende delle protagoniste accompagnate dal rumore delle rotaie e dagli spazi angusti del treno. La scena di violenza è quasi insostenibile per la sua lunghezza, per il suo insistere sui particolari, per la sua morbosità e per la sua brutalità che culmina con il lancio dai finestrini di corpi martoriati e umiliati. Interessante la banale crudeltà dei due delinquenti che apparentemente potrebbero essere solo dei teppistelli di strada ma che fanno "il salto di qualità" con lo stupro e l’omicidio. Il loro male è tanto più terribile perché inaspettato e improvviso. Ancor più intrigante e misterioso il personaggio della signora borghese beffardamente vestita di candido bianco che fa da interruttore alle voglie più perverse ed alla malvagità più profonda dei due. Una ninfomane maniaca che non ha molto senso come personaggio a meno che non la si voglia inquadrare come una metafora della follia borghese o un elemento soprannaturale come la morte o la sofferenza. Il suo gesto finale al termine del film sembra suggerire questo.
Il suo rimettersi il velo nero a coprire il volto sembra suggerire una missione compiuta anche questa volta in attesa della prossima sofferenza. Questo mi è suggerito anche da tutta la sequenza dello stupro-omicidio al buio ed in un contesto quasi onirico. La parte finale vede la salita in cattedra di Enrico Maria Salerno, perfetto nell’incarnare l’uomo dell’alta borghesia affermato e pieno delle granitiche convinzioni che solo le follie della realtà esterna possono scalfire. Il suo rendersi conto di quello che è successo e la sua reazione disperata e lucidamente omicida alla fine sono convincenti perché realistiche, senza fronzoli o frasi. Il suo dolore coincide con il suo bisogno di vendetta per una vita che alla fine gli ha dato torto. Lado riflette sull’aspetto sociale della violenza. Sulle ipocrisie della classe media non meno colpevole dei delinquenti dichiarati, forse solo più ruffiana. Questo concetto è ben incarnato dal personaggio del voyeur che torna dalla sua famiglia dopo aver partecipato alla violenza non solo senza intervenire ma anche approfittandone, salvo poi un pentimento che lo porta ad una telefonata anonima alla polizia. I discorsi del padre e della madre della giovane e soprattutto la lunga discussione a tavola sulle radici e la natura della violenza indicano che si cerca sempre di inquadrarla e spiegarla su vari livelli ma alla fine essa è cieca e colpisce senza guardare in faccia posizione sociale o innocenza. La Nemesi finale è tutta concentrata in un’inquadratura che ho visto solo in Peckinpah delle volte. Un campo medio con il padre e il delinquente sanguinante che implora pietà. Il carnefice e la sua vittima, un uomo col fucile ed il suo nemico. C’è dell’epica in questa inquadratura e solo per questo vorrei che tutti voi vedeste questo film così diverso, proibito e sincero al giorno d’oggi.
Salvatore Floris
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