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Il processo di Orson Welles


Il Processo

regia Orson George Welles
1962 – b/n
con: Anthony Perkins, Romy Schneider,Orson Welles, Akim Tamiroff, Jeanne Moreau, Elsa Martinelli, Arnoldo Foà.

Che portare Kafka sullo schermo sia impresa ardua lo si sa fin troppo bene. Anche Polanski ci rimase scottato quando non gli riuscì di andare oltre la sceneggiatura de “Le metamorfosi”. Perciò uno che ci poteva tentare era sicuramente Welles. Nonostante tutto il suo è il miglior adattamento che abbiamo delle opere dello scrittore praghese. Dico nonostante tutto perchè Welles stravolge non poco la storia e le intenzioni del romanzo. Primo fra tutti il personaggio di Joseph K.(qui interpretato da un Perkins un pò monotono) è ben diverso da quello delineato nell’opera di Kafka. Il K. di Welles si batte troppo, si fa troppe domande reali, si contorce troppo della propria situazione per assomigliare a quello originale. Anche se alla fine accetterà il suo ruolo di vittima non risulta convincente come il personaggio del libro.

E che dire poi del finale? Nel romanzo K. morirà pugnalato al cuore in una cava abbndonata, consapevole fino alla fine di non avere scampo e di non avere la capacità di reagire. La sua lotta era solo apparente, doveva essere fatta perchè era necessario. La sua fine era comunque decisa sin dall’inizio. Nel film invece il finale prevede una serie di esplosioni che si suppongono nucleari, mentre il protagonista cerca di fuggire alla polizia! Certo non ci si poteva aspettare di vedere un film di Welles ove le cose rimanessero senza la sua impronta ma che differenza! E che coraggio bisogna riconoscere…

Ma c’è anche l’opposto. Una perfetta e geniale aderenza a Kafka.
Per esempio la scena dove K. si reca alla prima udienza del tribunale e uscendo si perde in una miriade di cunicoli e labirinti. Bene Welles, con una maestria tecnica difficilmente eguagliabile, riesce a rendere perfettamente questa parte, con la macchina a presa che si muove in ambienti angusti, dai soffitti bassissimi. Un Perkins smarrito si muove come un topo in gabbia. Tutto questo senza spiegare come faccia il personaggio a trovarsi lì. E qui sta il segreto… Come Kafka non spiega mai niente e fa nascere l’assurdo proprio dalla lucidità della sua prosa, così Welles si limita a filmare con impeccabile maestria una scena che non ha senso. L’unica cosa importante è l’angoscia surreale, la sensazione di vivere in un inferno che non vediamo e che l’autore vuole comunicarci.
Che dire poi dei bellissimi titoli d’apertura, fatti tramite l’arte degli spilli? Bellissima anche perchè si racconta la famosa parabola dell’uomo davanti alla legge. Una parabola che racchiude molti degli interrogativi e dei temi dell’opera di Kafka. Insomma come al solito si rimane scossi, sicuramente meravigliati ma mai impassibili davanti all’opera di Orson…

Salvatore Floris

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