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Prigionieri dell'oceano

Quando si scandaglia l’opera di un regista prolifico come Alfred Hitchcock è quasi impossibile non imbattersi in opere poco conosciute e dunque ancor più sorprendenti. Una di queste è:

PRIGIONERI DELL’OCEANO
(1943 – b/n – durata 96′ – con Tallulah Bankhead, John Hodiak, Walter Slesak, Wiiliam Bendix, Mary Anderson, Hume Cronyn).

Una nave passeggeri è affondata in pieno oceano da un sottomarino nazista. I pochi sopravvissuti riescono ad imbarcarsi su una scialuppa. Poco dopo imbarcano un naufrago tedesco. La trama è tutta qui. Il film si svolge tutto su questa scialuppa, questo spazio ristretto che dovrebbe quasi naturalmente essere un limite narrativo destinato ad annoiare lo spettatore, a diluire fino alla morte l’azione e l’interesse. Incredibilmente , nelle mani di Hitchcock, si trasforma in un’opera tesa e in una straordinaria discesa nelle zone d’ombra dell’animo umano. Il film gioca tutto sulla suspence, sulla lotta psicologica dei personaggi, sul sospetto riguardo il nazista accolto a bordo che, lentamente, invade e intacca il rapporto tra altri occupanti. Non dimentichiamo che il film fu girato in piena guerra. Può essere letto anche come uno specchio delle inquietudini e dell’incomunicabilità che l’Europa viveva. Hitchcock rende al meglio il contratto tra la vastità dell’oceano (una prigione senza sbarre) e il claustrofobico spazio della scialuppa. La morale, le abitudini, le norme del vivere quotidiano sono stravolte e il clima di angoscia che culmina con l’uccisione dello “straniero” a bordo delinea le tragedie che si sarebbero divute contare alla fine della battaglia. Ancora una volta uomini comuni, calati in una situazione straordinaria devono mettersi davanti alla propria natura e scoprirei propri limiti.
Per gli appassionati è imperdibile la classica apparizione del regista inglese del quale si vede la sagoma, in un giornale che pubblicizza una cura dimagrante.

Salvatore Floris

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