Passa ai contenuti principali

Patt Garret e Billy Kid di Sam Peckinpah


Erano amici e hanno condiviso molte avventure nei panni di fuorilegge romantici. Ma ora i loro destini si separano. Pat Garret passa dalla parte della legge e svolge i suoi compiti con la stessa determinazione e la stessa bravura che lo contraddistinguevano da bandito. Billy Kid invece rimane dalla parte opposta. Lo scontro fra i due è inevitabile. A nulla serve il tentativo di Garret di allontanare l’ amico perchè non lo costringa a dargli la caccia. Comincia una caccia che si concluderà tragicamente.

Quando gli ex amici si incontrano emerge subito la loro visione contrapposta del mondo. “Questo paese invecchia e io voglio invecchiare con lui” dice Garret. “Il mondo sarà cambiato ma non io”. Ribatte Billy. Il raffronto fra due antieroi epici e l’ analisi di un’ amicizia virile sono temi tipici nel cinema di Peckinpah e ritornano ciclicamente nei suoi lavori. La contrapposizione di due destini e il declino romantico di codici d’ onore e di uomini veri che si trovano davanti ad un mondo che non sono riusciti a seguire e nel quale non trovano più il proprio posto. Il raffronto fra i due ha anche un carattere psicologico. Vecchio stanco e disilluso Garret; giovane, audace e bello Billy Kid. La giovinezza spregiudicata contro l’ odore stantio della legge asservita a poteri arroganti. Questo è il declino di cui Peckinpah parla ogni volta che dirige un suo western.

Grandiosa la fotografia e l’ uso di continui rallenti nelle scene più violente che modificano il ritmo tipico del film western e ne dilatano l’ aspetto visionario ed epico. La colonna sonora di Bob Dylan parla di cavalcate solitarie e di cowboy solitari.

Salvatore Floris

SCHEDA:
Anno 1973
Durata 110
Regia Sam Peckinpah
Attori
James Coburn Pat Garrett
Kris Kristofferson Billy Kid
Bob Dylan Alias
Richard Jaeckel Sceriffo Kip Mckinney
Katy Jurado Signora Baker
Chill Wills Lemuel
Jason Robards Governatore Lew Wallace

Commenti

Post popolari in questo blog

Playtime

Playtime è un gioco costoso e sofisticato.  Tati  si muove su piani diversi. Dal non-sense all’umorismo di situazione, a delle gag più dirette e semplici da afferrare basate sulle mimica e i movimenti dei personaggi. Inserisce non di rado riflessioni profonde sull’uomo moderno e sul suo posto nel mondo. Anzi sarebbe meglio dire il suo non essere ed il suo non esserci nel mondo moderno. Si comincia con gli spazi di una Parigi ultra moderna dove vige l’ossessione dell’apparire e del farsi vedere a tutti i costi. Le case e gli uffici sono tutti enormi vetrate che danno sul mondo fuori e che pretendono di farsi vetrina per l’esterno. Un aeroporto non differisce per nulla da un ospedale e tutto lo sforzo per la creatività, per il "distinguersi" si riduce alla creazione di una serie di ambienti molto diversi fra di loro ma in definitiva tutti uguali. Il girovagare di Monsieur Hulot che si muove solo sulla scena come Charlot e che biascica a mala pena qualche parola è il pre

Drag me to hell

R aimi torna al suo primo amore ed al suo elemento naturale: il genere horror. Lo fa con il suo solito stile e le sue armi. Una regia virtuosa, snella e narrativamente efficace. Come tutti i i suoi film “Drag me to Hell” si beve tutto d’un fiato. Riesce a miscelare intelligentemente humor nero, splatter e terrore garantendo un livello di sarcasmo e cinismo non superficiale. Interessante l’analisi della protagonista che si discosta moltissimo dalla solita colomba bianca e immacolata ingiustamente perseguitata dal male. Anzi la sua figura serve a veicolare un messaggio sociale di Raimi abbastanza pungente per i suoi canoni. Nessuno pare innocente, né i bambini, né le ragazze arrembanti che decidono di non concedere una dilazione della rata per arrivare alla promozione… Christine è un’impiegata "rampante" all’ufficio prestiti di un grande istituto di credito che per ottenere una promozione a scapito di un collega vuole mostrare al suo capo quanto "dura" e inflessibi

Halloween di Rob Zombie

Vita morte e omicidi dell’efferato e crudele assassino Mike Myers.  Il capolavoro di Carpenter era già perfetto per questo ritengo un poco inutile cercare di rifarlo. Apprezzo lo stile di Zombie e tutta la vera passione che mette nei suoi film compreso questo, soprattutto questo. La parabola di Mike Myers è anche quella di un male che non ha spiegazione, che esiste e basta. Senza sempliciotte spiegazioni psicologiche e sociologiche. Il merito di Zombie sta, prima di tutto nell’essere stato capace di mantenere questa impostazione inquietante che aveva fatto la fortuna del suo capostipite. Il secondo merito è quello di aver fatto contemporaneamente un prequel abbastanza convincente sulla nascita della leggenda di Myers e un remake non disdicevole. La scelta di mostrare il volto dell’assassino almeno da bambino è sicuramente coraggiosa. Il piccolo demonio non ha nulla di apocalittico o mostruoso ma risulta assolutamente normale, anzi ben voluto da una madre che fino a