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L'argent di Robert Bresson


Bresson gira un film chiaro come una favola. Essenziale, secco e disperato. Il montaggio, l’ inquadratura, la recitazione e la colonna sonora svolgono il loro compito ai minimi termini. Si limitano e supportare la trama. Le persone non si parlano, non si guardano, si muovono come robots. Sono fredde e impassibili. L’unico motore dell’ azione è una banconota falsa, che manda in rovina un povero operaio e sprigiona male da ogni filigrana. Emblematiche le continue inquadrature sulle mani e sugli oggetti e sugli spazi vuoti che spesso non vengono riempiti. Il mondo è “avere” ed è fatto di cose inutili e false. Le mani toccano le cose non le persone e scambiano denaro. Lo sguardo di Bresson è pessimista fino all’ angoscia. Non si scorge speranza in questo film e alla fine il Dio denaro trionfa facendo compiere il male per il male, corrompendo un animo buono e rispecchiando una società che si è perduta irrimediabilmente. Il senso di colpa e di condanna biblici sono riscontrabili nella vena quasi surreale di certe scene. Come quella finale dove gli avvoltoi-voyeurs della nostra società attendono di vedere il mostro. Una volta che questi è passato continuano a guardare una porta dalla quale non uscirà nessuno. Insensati manichini del moderno. Per chi non vuole più credere nella felicità dell’ uomo e nella giustizia. Come un pugno allo stomaco di sorpresa.

Salvatore Floris

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